E anche quest’anno siamo sopravvissuti.
L’estate è passata, interminabile e rapidissima, tra chilometri macinati su e giù per la riviera come una palletta impazzita, sconfinando ogni tanto anche verso la Francia.
Per la prima volta nella sua vita, Pu ha realizzato cosa siano le vacanze.
Passando da “mamma, sono contento di non andare all’asilo e di andare al mare, nuotare sott’acqua e anche andare a cavallo!” dichiarazione di giugno, a “mamma ma quando torniamo a casa? Voglio andare all’asilo, mi mancano le maestre!” di pochi giorni fa.
E me lo chiedo anche io tesoruccio mio: quando ricomincia l’asilo?? Quando??
Perché non se ne può più.
Diciamolo: le vacanze estive sono uno sfinimento per tutti.
Per le mamme lavoratrici che impazziscono per raggiungere i pargoli dai nonni nei fine settimana, oppure devono incastrare le ferie tra un centro estivo e tre baby-sitter diverse; vomitando bile di invidia verso le amiche insegnanti, che per due mesi di ferie filate saresti anche disposta a non farti pagare e a farti trattare come una pezza da piedi da alunni e genitori per i restanti 10 mesi dell’anno…
Per i nonni, che dopo due mesi di nipotame sono pronti ad emigrare senza nemmeno mandare una cartolina ogni tanto per far sapere che sono vivi, per il timore di essere rintracciati.
E per le mamme casalinghe, che devono ciucciar godere della compagnia della propria progenie per due mesi e mezzo filati senza respiro e senza soluzione di continuità, rivalutando il ricovero in una clinica psichiatrica come la migliore delle vacanze.
Io faccio ovviamente parte della prima categoria, i miei della seconda.
Ho distribuito strategicamente tre settimane di ferie tra luglio e settembre, col risultato di stressarmi così tanto ad agosto da vanificare le due settimane di luglio.
Ma vabbè.
Facendo un bilancio è stata comunque una bella estate; Pu ha fatto tanti progressi, e quando siamo riusciti a stare insieme ci siamo divertiti come due bambini.
E’ una gioia vederlo crescere, assaporare le piccole gioie della vita che cerco di trasmettergli, ed uno strazio al tempo stesso perché non riesco a stargli dietro, in nessun senso.
Ero pronta a scoprire che aveva imparato a scrivere e a leggere e senza sapere nemmeno come.
(o forse sì, amici degli anni ’80, guardate cos’ho sfoderato. Il Grillo Parlante. Perfetto e ancora funzionante! “scrivi e premi controllo: luNa. Con la fantastica vocina nasale).
Lo vedo ripercorrere le mie orme, anche se i luoghi della mia infanzia erano diversi, e riscopro insieme a lui gesti accantonati, che un tempo erano i miei.
Mangiare frutta appena staccata dall’albero; innaffiare il prato e crogiolarsi coi piedi bagnati e scivolosi nelle ciabatte di plastica.
Abbrustolirsi al sole, con la pelle che cambia colore e diventa ambrata, color biscotto, e mi fa venire ancora più voglia di mangiarmelo di baci.
La pizza a merenda.
Il calcetto al pomeriggio sotto il patio, per sopravvivere alla canicola.
I “non rullare”, la palla regina, e quella principessa, re, principe e cavaliere.
I vetrini collezionati nei pacchetti vuoti dei fazzolettini.
Le mani a prugnetta perché sei stato troppo a mollo.
I “mamma ho freddo freddo freddo” come Frozen, e un asciugamano aperto, pronto ad accoglierti in un abbraccio ruvido e ristoratore.
I castelli di sabbia.
La pelle che tira che per il sale, da leccare via a linguate.
Il materassino per prendere le onde, che si buca inesorabilmente al terzo giorno di vacanze.
Rotolarsi bagnati nella sabbia e tuffarsi per lavare via tutto.
Via la stanchezza, via gli acciacchi dell’inverno.
I quintali di moccico che, per l’appunto, escono fuori ad ogni starnuto grazie all’acqua di mare.
Le pennichelle all’ombra, l’amaca in giardino.
Imparare a nuotare senza braccioli.
Andare a cavallo.
Chiedere senza timore ad un carcerato alto due metri e grosso come l’attore del “Miglio Verde” di fargli tenere le redini della carrozza che ci ha portato a spasso a Pianosa.
Giocare fino alle 11 di sera con nuovi amici che non rivedrai mai più.
Dormire nudo.
Fare amicizia con bambini che parlano tre lingue diverse, e riuscire a comunicare nonostante tutto.
Prendere il traghetto e meravigliarsi perché “non credevo che le macchine potessero salire sulle navi”.
Fare snorkeling.
Scoprire le spiagge dei Pirati.
Esplorare miniere.
Scappare da un cane.
Farsi baciare da una medusa. E che pianti!
Farsi coccolare dai nonni migliori del mondo.
Imparare a fare la capriola in acqua, a tuffarsi, a trattenere il respiro ed immergersi ancora, ancora, ancora.
Ancora, la parola dell’estate 2015.
Andare in canoa con l’amore dell’estate.
Andare a caccia di lucciole di notte. “Mamma, ne vorrei prendere una e metterla in un barattolo, così mi fa luce.”
Da dove ti arrivano queste idee figlio mio? Non certo da me, che sono la persona meno amante della campagna del mondo.
Persino i ragni gli piacciono, figlio degenere.
Spero che le sue prossime estati siano costellate di questi attimi perfetti di felicità, e di esperienze nuove.
Anche se mi perderò tanto.
Ma la contropartita sarà un bambino ricco, cresciuto e talmente sfinito dalle vacanze da bramare l’asilo come l’oasi nel deserto!